Marco Guarneri | Dal Giardino Invisibile

F.L.O.W. in famiglia: trasformare ansia e aspettative in fiducia e libertà

‘E figl so’ piezz’ ’e core!’. Non esiste espressione più autentica di quella napoletana per raccontare l’essenza dell’essere genitori oggi. In poche parole racchiude un sentimento universale, l’amore viscerale e totale che lega un genitore al proprio figlio. I figli sono davvero una parte di sé, un’estensione del proprio cuore, e prendersene cura significa custodire ciò che di più prezioso si possiede. Eppure, dietro questa dedizione assoluta, nel cuore della genitorialità moderna si nasconde un disagio sottile, ma profondo.


L’amore incondizionato, di fatto, si intreccia troppo spesso con la paura e con il peso delle aspettative ereditate. Essere genitori oggi significa muoversi in un equilibrio fragile tra il desiderio di proteggere il proprio figlio dal mondo esterno e l’ambizione personale di vederlo capace di realizzare ciò che spesso loro stessi non sono riusciti a compiere. Questi atteggiamenti, tuttavia, finiscono per generare un conflitto interiore nel bambino, diviso tra ciò che i genitori vorrebbero che fosse e ciò che realmente potrebbe diventare. Così, invece di favorirne la crescita, rischiano di soffocarne il potenziale, intrappolandolo in un ideale che non gli appartiene.


Genitori chioccia e genitori scultori: quando l’amore può diventare una gabbia


Molti genitori, spesso senza rendersene conto, finiscono per appartenere a una di queste due grandi categorie: i genitori chioccia e i genitori scultori. Sebbene in modo diverso, entrambe queste tipologie finiscono per danneggiare i propri figli.


I primi, spinti dal desiderio di risparmiare ai figli delusioni, dolori o fallimenti, costruiscono intorno a loro una sorta di campana di vetro, uno spazio ovattato in cui tutto è controllato e prevedibile. Ma quella protezione, che nasce da un sentimento autentico e profondo, rischia di trasformarsi in una prigione invisibile: un luogo in cui la sicurezza diventa limite e la cura si confonde con il controllo. In questo ambiente protetto, i figli non imparano a confrontarsi con l’incertezza, con l’errore, con la possibilità di sbagliare - esperienze indispensabili per formare carattere e autonomia. Così, nel tentativo di evitare la sofferenza, si finisce per negare la crescita, impedendo loro di scoprire la parte più autentica e resiliente di sé.


Il secondo tipo, invece, tende a comportarsi più come scultori che come giardinieri: cercano di modellare un essere umano “giusto”, conforme a ideali, sogni e schemi personali, dimenticando che ogni figlio possiede già in sé un’identità unica e un ritmo di crescita proprio. Nel tentativo di forgiare il “figlio perfetto”, proiettano su di lui aspettative e desideri che non gli appartengono, soffocando la sua spontaneità e la libertà di scegliere il proprio cammino. Educare, però, non dovrebbe significare plasmare, ma coltivare; non imporre un disegno, ma accompagnare la fioritura di un progetto di vita che, fin dall’inizio, appartiene solo a chi nasce.


Tra protezione e ambizione: i figli visti attraverso lo sguardo dei genitori


Il genitore, in questi casi, non vede realmente il proprio figlio come un essere indipendente, ma come una proiezione di sé: il riflesso delle proprie paure, ambizioni o desideri irrisolti. Per questo motivo, il compito di queste due tipologie di genitori non è quello di accompagnarlo nel ricordare - e riconoscere - chi è davvero, aiutandolo a distinguere ciò che gli appartiene da ciò che gli è stato imposto, bensì quello di insegnargli chi dovrebbe essere, o meglio, chi loro vorrebbero che fosse. In questo processo, l’amore si intreccia con il controllo, e la guida si trasforma in direzione, soffocando la libertà di crescita del proprio figlio.


Di conseguenza, che si rinchiudano i figli sotto una campana di vetro o si impugni lo scalpello per modellarli, il rischio rimane lo stesso: perdere di vista il figlio reale, quello che chiede di essere riconosciuto e non protetto o definito. Per questo, entrambe queste figure genitoriali finiscono inevitabilmente per generare un conflitto interiore nel figlio, alimentato da aspettative, paure e silenzi che offuscano la sua voce autentica, soffocandone la spontaneità e ostacolando la piena espressione del suo potenziale. In questo spazio di incomprensione, l’amore - pur profondo e sincero - perde la sua funzione liberante, trasformandosi in una forza che, invece di far crescere, trattiene.


Quando la genitorialità diventa presenza, non controllo


Perché la genitorialità funzioni davvero, non serve che il genitore faccia un passo indietro, ma è essenziale che ne faccia uno di lato. Questo passo laterale lo si compie solo se si impara a guardarsi dentro, a riconoscere i propri errori e a lavorare su se stessi.


È un atto di apertura che richiede pazienza e ascolto attivo: osservare senza giudicare, lasciare spazio agli errori, accettare le scelte del figlio anche quando differiscono da ciò che il genitore avrebbe voluto. Solo così il figlio può sentirsi libero di sperimentare, crescere e manifestare la propria autenticità.


In questo spazio di attenzione e accoglienza, la relazione genitore-figlio smette di essere una direzione imposta e diventa un cammino condiviso, in cui il genitore accompagna senza soffocare, e il figlio impara a riconoscere e sviluppare il proprio sé più autentico.


F.L.O.W. in famiglia: trasformare l’ansia in fiducia


Questo percorso diventa possibile solo grazie al F.L.O.W. Model®, che permette di entrare nel proprio giardino, trasformandosi da genitore chioccia o scultore a genitore giardiniere: colui che coltiva e protegge l’ambiente in cui il figlio cresce.


È fiducia nel suo progetto interno, spazio per la sua autenticità e motivazione autonoma. Questo metodo sostituisce l’ansia del controllo con la gioia di vederlo fiorire, smettendo di correggere e cominciando a coltivare.


Ma questo percorso non è per tutti: serve il coraggio di riconoscere i propri errori.


Se vuoi provarci, scopri il metodo F.L.O.W.  (gratuitamente).

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