"Non penso, dunque sono" Marco Guarneri
“Non penso, dunque sono”. Mi permetto di prendere in prestito le parole dello psicoanalista e psichiatra francese Jacques Lacan, per mettere in discussione il celebre motto cartesiano “Penso, dunque sono”, che caratterizza un’epoca segnata dal dominio dell’ego. La mia è una provocazione, per invitare a riconoscere che la nostra essenza non si esaurisce nella razionalità dell’ego, ma affonda in una dimensione più profonda e autentica.
“Cogito, ergo sum” cartesiano è sopravvalutato
Secondo Cartesio, ogni individuo è dotato di razionalità e quindi capace di compiere scelte economiche coerenti. Questa razionalità spinge l’individuo a perseguire costantemente i propri interessi, selezionando le azioni che massimizzano il vantaggio personale.
In questo modo, prende forma l’ego. Titoli, certificazioni e badge digitali si accumulano come decorazioni sul petto: segni indiscutibili di competenza, impegno e dedizione, ma che spesso finiscono per alimentare l’ego più che la crescita autentica, trasformandosi in un freno silenzioso. Nutrito da etichette, titoli e riconoscimenti, l’ego diventa una lente che non solo ingrandisce, ma distorce la realtà.
L’ego ci imprigiona in un’immagine di noi stessi e, paradossalmente, ci isola dal resto della società. Ci induce a credere che il nostro valore dipenda non tanto da chi siamo o da ciò che possiamo offrire, ma da quanto meglio siamo degli altri. È una competizione silenziosa, che ci spinge a misurare ogni successo in termini comparativi: non “sto crescendo”, ma “sto crescendo più di te”.
Questo meccanismo alimenta una spirale di confronto continuo, in cui la gioia per i nostri traguardi viene sostituita dalla paura che qualcun altro possa superarci. E così, invece di cooperare, ci chiudiamo in una logica di difesa e rivalità, tagliando i ponti con quelle relazioni che potrebbero invece arricchirci.
Ma la verità è che l’ego non misura mai la nostra grandezza: misura solo la distanza dagli altri. E finché guardiamo solo quella distanza, perdiamo di vista il cammino che potremmo davvero percorrere.
Alla scoperta del “Non penso, dunque sono” lacaniano
Come ricorda invece Lacan, il nostro “Io” non coincide mai pienamente con ciò che pensiamo di essere.
Quell’Io è una costruzione, una sorta di maschera riflessa, nata e modellata nello sguardo e nel linguaggio della società: esistiamo innanzitutto come immagine che crediamo ci appartenga, ma che in realtà è frutto di riconoscimenti, aspettative e proiezioni esterne.
Nel suo paradosso Lacan capovolge la frase di Cartesio e afferma: “non penso dunque sono”. In questo modo ci invita a riconoscere che la nostra esistenza non è riducibile al pensiero razionale, ma è intrecciata a desideri, simboli e inconsci che sfuggono al nostro controllo.
È in questo spazio non calcolabile che si trovano la vulnerabilità, l’autenticità e la capacità di entrare in relazione profonda con l’altro.
Solo riscoprendo e accogliendo questa parte “non pensata” di noi stessi possiamo uscire dalla gabbia dell’ego, smettere di vivere per difendere un’immagine e tornare a connetterci — davvero — con le persone e con la società.
Conclusione
Attraverso Lacan, voglio mostrare come l’immagine dell’individuo perfettamente razionale ceda il passo a un soggetto che crede di massimizzare il proprio interesse, ma che in realtà agisce spinto da impulsi, condizionato da euristiche e guidato da narrazioni interiori spesso inconsapevoli.
Tornare a questa consapevolezza significa spostare l’attenzione dal collezionare titoli e riconoscimenti all’esplorare ciò che ci costituisce davvero, riscoprendo un’identità meno legata all’immagine e più radicata nell’esperienza autentica.